Transizione digitale: PMI italiane in ritardo

Transizione digitale: PMI italiane in ritardo

Mentre sui mercati più forti la digitalizzazione continua a cambiare il volto della produzione industriale, lo stesso non si può dire per quello italiano. Secondo i dati più recenti, le PMI italiane si confermano sensibilmente in ritardo per quanto riguarda la transizione digitale, manifestando evidenti difficoltà a tenere il passo con altri paesi che invece spingono più sull’acceleratore utilizzando anche le ultime e innovative elettroforniture industriali. Il rischio è quello di rimanere sempre più indietro, perdendo competitività e rimandando immotivatamente al futuro i benefici offerti dalla digitalizzazione.

I dati del report Istat

Il tiepido rapporto tra piccole e medie imprese italiane e transizione digitale è stato ben fotografato dal rapporto Istat “Imprese e ICT 2023”. L’indagine in questione è fondata su uno dei sotto-indicatori relativi all’ambito della digitalizzazione di impresa: il Digital Intensity Index (DII). Questo valore emerge da 12 parametri, che quantificano l’adozione di altrettante tecnologie digitali.

Nel caso dell’Italia i risultati attestano che il 60,7% delle PMI, con un numero di addetti tra i 10 e i 249, mostra un basso livello di digitalizzazione, contro la media europea del 57,7%. Soltanto nel 21,3% dei casi la digitalizzazione raggiunge invece livelli elevati. Ciò significa che più della metà delle piccole e medie imprese italiane adottano solo 4 delle 12 attività digitali calcolate dal report Istat.

L’ostacolo più consistente alla transizione digitale in Italia sembra risiedere in una diffusa mancanza di competenze, specie relativamente a pratiche e tecnologie che richiedono conoscenze più specialistiche. Ad esempio, l’Italia è particolarmente indietro nel campo dell’analisi dei dati e nell’utilizzo di software gestionali per pianificare le risorse aziendali (ERP) e amministrare le informazioni dei clienti (CRM). Non brilla nemmeno l’aspetto della condivisione dei dati con clienti e fornitori, fermo al 13,6%.

Nota ancora più dolente è il rapporto tra PMI e AI. L’intelligenza artificiale sta infatti aprendo tutta una serie di nuove potenzialità nell’ambito dell’automatizzazione industriale e della data science. Il tasso di adozione in Italia è però appena del 5%. Considerando che la media europea è dell’8%, l’imperativo è quello di recuperare il gap nel minor tempo possibile.

Transizione digitale: come si comportano le PMI italiane

Analizzando il report Istat nel dettaglio, il rapporto tra PMI italiane e transizione digitale appare più sfaccettato. Alcuni spiragli lasciano intravedere buone prospettive future. L’Italia si conferma eccellente per quanto riguarda l’adozione di tecnologie di Cloud Computing (61,4%, contro una media europea del 45,2%) e di fatturazione elettronica (addirittura 97,5% rispetto alla media europea del 38,6%). Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, bisogna però ricordare che il ricorso alle fatture elettroniche è stato reso praticamente obbligatorio per legge, per tanti operatori economici differenti.

Una chiave di lettura di alcuni dei limiti delle PMI italiane può essere ritrovata nella recalcitranza mostrata da queste ultime ad affidarsi a enti esterni per l’analisi dei dati. Solo il 4,6% collabora con università o altre realtà specialistiche, mentre nel resto dell’Europa si registra una media del 10,4%.

Per quanto riguarda l’impiego dell’intelligenza artificiale alcuni segnali confortanti arrivano dalle PMI dei settori dell’informatica (23,6%), delle telecomunicazioni (13,3%) e delle attività di produzione cinematografica, video e programmi televisivi, di registrazioni musicali e sonore (11%). Le applicazioni più comuni dell’AI riguardano invece:

  • Elaborazione di strategie di manutenzione predittiva o controllo qualità delle linee di produzione (dal 39% al 52,5% nel caso del settore manifatturiero);
  • Servizi di marketing, vendita o assistenza clienti (dal 33,1%, ad un picco del 41,3% nel settore dei servizi);
  • Cybersecurity (dal 23,7%, al 50,6% nel settore energetico);
  • Attività di ricerca e sviluppo (R&S), innovazione nell’analisi dati e progettazione di nuovi prodotti e servizi migliorati (21,1%).

La speranza è dunque che le PMI possano ripartire da questi aspetti favorevoli, investendo convintamente sullo sviluppo delle competenze necessarie all’adozione sistematica di queste nuove innovazioni, in modo da procedere con il percorso di transizione digitale ed estenderlo a tutte le tecnologie abilitanti.

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